#Tanomattinale 18 ottobre 2021: arrestato Grazianeddu Mesina, i funerali di Ravanusa senza Mattarella, tragedia nel campo Rom, Mimmo Lucano, le cattivissime motivazioni della condanna, l’amica si suicida, lei ci ripensa

Amiche e amici del #Tanomattinale buon sabato.

La notizia di apertura di oggi è di quelle che fanno scruscio (rumore, cari nordici, ma già lo sapete: i carabinieri del Ros, il Raggruppamento Operativo Speciale, hanno rintracciato e arrestato nella notte il quasi leggendario bandito sardo di Orgosolo Graziano Mesina, 79 anni, detto “Grazianeddu”. Il super latitante, che si era reso irreperibile il luglio 2020, è stato catturato in un’operazione dei militari del Ros in collaborazione con quelli del Gis, del Comando provinciale di Nuoro e dello Squadrone eliportato carabinieri cacciatori Sardegna. L’ex primula rossa del banditismo sardo, protagonista di clamorose evasioni, era scomparso un giorno prima che la Cassazione confermasse la condanna per associazione a delinquere finalizzata al traffico di droga, che lo avrebbe riportato in carcere.

Mesina era inserito al sesto posto dalla Criminalpol nella lista dei sei latitanti “di massima pericolosità”, guidata da Matteo Messina Denaro e comprendente anche Giovanni Motisi, Renato Cinquegranella, Raffaele Imperiale, Attilio Cubeddu e quindi Grazianeddu. Cambio argomento. Guardando in queste ore, con enorme tristezza, foto e immagini televisive dei funerali delle vittime di Ravanusa, mi è sorto un pensiero spontaneo che sento di riportare, con la consueta franchezza, lo avrei messo in apertura della mia rubrica di oggi prima della notizia dell’arresto di Graziano Mesina.

Sapete bene quanto sia grande la mia stima per il presidente Sergio Mattarella, non passa giorno senza che io esprima il mio profondo rammarico per la fine del suo mandato al Quirinale: ma proprio perché lo stimo così tanto, mi è venuto di chiedermi perché ieri il nostro carissimo presidente siciliano, palermitano, non sia venuto di persona nel paese dilaniato dal dolore a porgere l’ultimo saluto della Repubblica italiana alle nove bare della tragedia del gas. Sinceramente – senza nulla togliere al valore della presenza istituzionale del ministro delle infrastrutture Giovannini, del capo della Protezione Civile Curcio e ovviamente del presidente della Regione Musumeci – mi sarei aspettato di vederlo presente nella sua Sicilia ancora una volta distrutta dal dolore. Non è una critica, ma ripeto un pensiero spontaneo, che so già condiviso da alcuni di voi che mi leggerete. Stringendomi anch’io virtualmente ai familiari e all’intera comunità ravanusana, riporto anche qui le parole, pesanti come pietre, pronunciate dall’arcivescovo di Agrigento, Alessandro Damiano, nella sua omelia ai funerali in piazza Primo Maggio davanti alla chiesa madre di Ravanusa: “Dalle otto e mezzo di sabato si è fatto buio. Si è fatto buio nelle vite dei nostri fratelli, nelle loro famiglie che fino alla fine hanno sperato nel loro miracolo, nella comunità di Ravanusa che ha perso un pezzo di sé e ha perso la possibilità di sentirsi al sicuro, trovandosi in un territorio compromesso e con strutture precarie”. “Si è fatto buio nell’intero paese che ha seguito le fasi di una tragedia che una maggiore responsabilità e un controllo più attento avrebbero forse potuto evitare”. “Si è fatto buio nella vita delle vittime, si è fatto buio nella vita di Selene e di Samuele, che avrebbe dato alla luce in questi giorni e che, anche se non ha fatto in tempo a nascere era a pieno titolo uno di noi”. “Ci chiediamo, che senso ha tutto questo. Come voi non ho una risposta ma voglio cercarla nella fede”. Non aggiungo altro, se non la speranza che l’inchiesta della Procura di Agrigento, che procede con grande impegno, faccia presto luce sulle cause di questo dramma spaventoso che mai dimenticheremo.

Ancora un dramma della disperazione in un campo nomadi. Due bambini di 2 e 4 anni, sorella e fratello, ono morti in un incendio scoppiato a Stornara, in provincia di Foggia. Le fiamme hanno avvolto alcune baracche che sono state distrutte dalle fiamme., in una sono stati trovati morti i due bimbi. Stando ad una prima ricostruzione i due fratellini stavano dormendo quando è scoppiato l’incendio; si ipotizza che le fiamme possano essere stare causate da una stufa artigianale utilizzata per scaldare la baracca dove i fratellini vivevano. Nel campo convivono circa un migliaio di cittadini bulgari.

E adesso dedico un po’ di spazio, mi sembra importante, alle motivazioni rese note ieri della sentenza con cui il tribunale di Locri ha condannato in primo grado a 13 anni e 2 mesi l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano. Parole durissime, molto cattive, forse troppo. Eccone alcune, fonte ANSA. “Lucano, da dominus indiscusso del sodalizio, ha strumentalizzato il sistema dell’accoglienza a beneficio della sua immagine politica”. Secondo i giudici, a Riace c’era un’organizzazione “tutt’altro che rudimentale, che rispettava regole precise a cui tutti si assoggettavano, permeata dal ruolo centrale, trainante e carismatico di Lucano il quale consentiva ai partecipi da lui prescelti di entrare nel cerchio rassicurante della sua protezione associativa, per poter conseguire illeciti profitti, attraverso i sofisticati meccanismi, collaudati negli anni e che ciascuno eseguiva fornendogli in cambio sostegno elettorale”. E ancora: “Nulla importa che l’ex sindaco di Riace sia stato trovato senza un euro in tasca – come orgogliosamente egli stesso si è vantato di sostenere a più riprese – perché ove ci si fermasse a valutare questa condizione di mera apparenza, si rischierebbe di premiare la sua furbizia, travestita da falsa innocenza, ignorando però l’esistenza di un quadro probatorio di elevata conducenza, che ha restituito al Collegio un’immagine ben diversa da quella che egli ha cercato di accreditare all’esterno” “Domenico Lucano, dopo aver realizzato l’encomiabile progetto inclusivo dei migranti, che si traduceva nel cosiddetto Modello Riace, invidiato e preso ad esempio da tutto il mondo, essendosi reso conto che gli importi elargiti dallo Stato erano più che sufficienti, piuttosto che restituire ciò che veniva versato, aveva pensato di reinvestire in forma privata gran parte di quelle risorse, con progetti di rivalutazione del territorio, che, oltre a costituire un trampolino di lancio per la sua visibilità politica, si sono tradotti nella realizzazione di plurimi investimenti”. Ed ecco il commento di Mimmo Lucano: “Non mi aspettavo complimenti ma neanche che il Tribunale mi condannasse sulla base di cose non vere. Le risultanze del processo dimostrano altro. È tutto molto strano. Dal processo non si evince per nulla l’interesse economico. Perché devo subire quest’aggressione mediatica basata su accuse infondate? Si infanga ancora una volta la mia immagine ma io non voglio che la gente abbia dubbi su di me”. E poi le parole degli avvocati Giuliano Pisapia e Andrea Daqua, difensori di Lucano: “In questo momento il primissimo dato emerso è che il Tribunale di Locri, pur di condannare Lucano, disattende perfino le Sezioni Unite della Cassazione in tema di utilizzabilità delle intercettazioni”. “Lo condanna per associazione a delinquere con motivazione inconsistente, anzi insussistente. Scambia per peculato le attività di valorizzazione del territorio perseguite da Lucano e previste dal manuale Sprar. Ed ancora, il Tribunale parla di povertà ‘apparente’ di Lucano nonostante le misere condizioni economiche di Lucano siano state accertate dalla Guardia di finanza e confermate in udienza dalla stessa accusa”. Ho riportato ampiamente le due campane, com’è regola fondamentale della mia professione, per dare un quadro il più chiaro possibile di questa nuova puntata di una pagina, a mio avviso francamente brutta e imbarazzante, della storia giudiziaria italiana. A prescindere dalla sensazione, nella parole della motivazione, di un certo accanimento, mi chiedo: se in Italia dovessero essere condannati tutti i politici e amministratori che valorizzano i territori dove operano per motivi di immagine e di visibilità, quanti resterebbero al loro posto?

Concludo con una storia triste, ma anche molto strana, che arriva dal Ragusano. Una donna milanese di 33 anni è morta annegata tra Donnalucata e Playa Grande, contrada Timperosse, in un tratto di scogliera con mare non profondo. L’amica con cui era arrivata in taxi sul luogo, originaria di Giarratana ma residente in una città del Nord Italia, avrebbe avuto la stessa intenzione ma poi ci ha ripensato e non si è gettata in mare. Avrebbe quindi provato a soccorrerla e avrebbe chiesto aiuto, ma non sarebbe riuscita a salvarla e ed in stato di choc all’ospedale. Secondo il sito RagusaNews, pare che prima di compiere il gesto, le due avrebbero telefonato alle forze di polizia sostenendo di aderire a una setta. Indagano i carabinieri su una vicenda che presenta molti lati oscuri.