Cuocere la pasta senza acqua - fonte pexels - Sicilianews24.it
Cuocere la pasta nel sugo, una tradizione antica tornata protagonista: la versione più morbida è la pasta “minestrosa”
Cuocere la pasta direttamente nel sugo non è un’invenzione moderna, né un capriccio dei cuochi creativi. Si tratta di una pratica che affonda le radici nella cucina tradizionale italiana e che oggi torna alla ribalta, varcando confini regionali e facendo breccia nelle cucine gourmet. In un Paese che della pasta ha fatto un simbolo identitario, ogni innovazione è sempre sottoposta al vaglio della tradizione. Eppure questo metodo, invece che rompere le regole, le riscopre e le rilegge.
Che si tratti di spaghetti o penne, resta irrisolto l’annoso dibattito sulla consistenza: al dente o più morbida? E persino gli irriducibili della “pasta al chiodo” non metteranno mai d’accordo tutti. Tuttavia, quando la pasta cuoce nel sugo, la vera questione non è tanto il tempo di cottura quanto la gestione dell’acqua: quando aggiungerla e in quale quantità. Elementi che determinano la riuscita del piatto molto più della densità finale.
La risposta, come spesso accade in cucina, è “q.b.”. Se si vuole ottenere una pastasciutta classica, meglio iniziare con una quantità di liquido ridotta e aggiungerne poco alla volta, proprio come accade nella preparazione del risotto. Non a caso, questa tecnica prende il nome di “pasta risottata”. Il risultato è una pietanza cremosa, in cui gli amidi rilasciati dalla pasta legano il condimento in modo naturale.
Quando invece si preferisce una consistenza più morbida e avvolgente, si può optare per un approccio più abbondante nell’uso dell’acqua. È la logica che sta dietro a ricette iconiche come la napoletana “pasta e cavolfiore”, una preparazione popolare in cui diversi formati di pasta vengono spesso mescolati insieme. Aglio, peperoncino, lardo, cavolfiore e un fondo di cottura ricco fanno da base a un piatto genuino, completato da prezzemolo, olio crudo e pecorino.
Se la pasta deve cuocere nel sugo, non significa che tutti gli ingredienti vadano messi insieme dall’inizio. Una tendenza importata da alcuni chef d’oltreoceano propone infatti di mescolare tutto a crudo nella pentola. Una pratica poco adatta alla cucina italiana, dove la fase iniziale del soffritto è fondamentale per costruire i sapori. Le tecniche asiatiche di preparazione dei noodle seguono una logica diversa e difficilmente sovrapponibile.
A conferma della solidità di questo metodo arriva anche un’autorità storica: Ippolito Cavalcanti, cuoco e letterato napoletano, discendente del poeta Guido Cavalcanti. Nel suo trattato Cucina teorico-pratica, pubblicato nel 1837, descrive i “maccheroni cotti crudi”, preparati direttamente nella salsa ricavata dai pomodori maturi e succosi. Una testimonianza che dimostra come questo sistema fosse già pienamente riconosciuto nella cucina napoletana ottocentesca.
Per ottenere un buon risultato occorrono alcuni accorgimenti: una padella grande, un sugo più liquido del normale, una dose leggermente superiore di sale e dell’acqua calda a portata di mano per eventuali aggiunte. I tempi di cottura tendono ad allungarsi, soprattutto se si procede gradualmente. Quanto al formato, la scelta è libera: spaghetti, farfalle, tagliatelle, penne, orecchiette… tutti si prestano.
La pasta cotta nel sugo, indipendentemente dalla consistenza desiderata, regala un’esperienza gustativa diversa dal solito. Gli amidi rilasciati in cottura la rendono più morbida, cremosa e intrisa di sapori. Un piatto meno “scattante” ma più armonico, capace di valorizzare il sugo in modo sorprendente. Se non avete ancora provato questo metodo, è il momento giusto per farlo: la tradizione, in questo caso, è garanzia di riuscita.
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