Luca Chiappara, musicista altoatesino ma siciliano di adozione

Luca Chiappara è un giovane e promettente musicista, pronto a portare il suo talento a Nashville, Tennessee USA, dove, i sogni diventano realtà!

Classe 1992, nasce e cresce in Alto Adige dove a 9 anni inizia a suonare il basso elettrico. “Ho iniziato a rubare e ascoltare le cassette di mia sorella a 7 anni.”, ci spiega Luca, “C’era un po’ di musica punk rock, grunge e qualcosa di metal anni 90, un disco dei Daft Punk e qualche Boy Band (d’altronde erano gli anni dei Backstreet Boys e dei Boyzone). Il mio primo disco l’ho comprato a dieci anni, con i soldi della paghetta messi da parte, era un disco dei Metallica. Ancora adesso uno dei dischi a cui tengo di più nella mia collezione.”

Finiti gli studi scolastici decide di andare in vacanza a Palermo, terra originaria della sua famiglia. Folgorato dalla Sicilia e dai siciliani, decide di rimanerci, supportandosi con lavoretti manuali di vario genere.  “Se non fosse così decentrata geograficamente la Sicilia sarebbe perfetta. Ma ammetto che questo in fondo è anche il suo punto di forza. Penso che più di tutti mi piaccia la propensione al vivere all’aria aperta dei siciliani. Le giornate passate al bar facendo gli incontri più disparati, le ore passate per strada a suonare, le amicizie più intense nate nei tempi più rapidi. Ho vissuto nel centro storico per gran parte del tempo. Era come una grande famiglia, sapevo dove andare anche quando non avevo con chi uscire. E questa propensione al creare rete si vede anche nella vita professionale musicale. Penso che quel contatto umano mi mancherà davvero tanto.”

Come ci tiene a sottolineare Luca, la Sicilia evoca un immaginario niente male nel pensiero comune, sarebbe un peccato non sfruttarlo. E poi è più forte di noi, chi si sente siciliano non ci impiega molto a manifestarlo. E’ così che è nata la versione country di “vitti ‘na crozza” o l’arrangiamento Rumba di “Parla più piano”, non che sia una composizione di un siciliano, ma di sicuro ne evoca l’atmosfera.

“E poi c’è tanta sicilianità nella gestione dello show, siamo dei caciaroni con una innata capacità di intrattenimento. Questo gioca a nostro favore dovunque andiamo.”

Gli italiani e in particolare i siciliani hanno sempre fatto grandi cose nella musica americana di inizio novecento. La prima registrazione jazz mai fatta è di una band di siciliani, la band di Nick La Rocca, si parla del 1917. E poi ci sono Louis Prima, Sam Butera, Frank Sinatra. Insomma, alcuni fra i migliori esponenti della musica swing erano siciliani. Per non parlare della produzione che abbiamo avuto in Italia. Natalino Otto, il Quartetto Cetra, l’orchestra di Kramer. Nel 1945 era vietato suonare qualunque cosa che suonasse americana, eppure è stato uno degli anni più interessanti e prolifici. Sotto le bombe a Roma si registrava gran bel jazz.

“Ho sempre avuto esperienze fortunate. Nessuno mi ha mai posto la domanda da manuale “ah, fai il musicista? E di lavoro? Anzi, penso che sia addirittura un luogo comune trito e ritrito con cui noi musicisti ci autoflagelliamo. Di sicuro ci scontriamo con una difficoltà burocratica niente male, abbiamo una posizione fiscale non facilmente inquadrabile.

Per quanto riguarda l’opinione comune devo ammettere che il siciliano, per indole, è più propenso a considerare con rispetto l’artista o il musicista. C’è una sorta di alone di rispetto e complicità intorno a te quando cammini trascinandoti un contrabbasso. Forse perché sono semplicemente buffo! Immagina un nanetto che traina un contrabbasso in Corso Vittorio Emanuele. Devo dire che in altre parti di Italia ho percepito meno questo rispetto. Da questo punto di vista siamo molto nord europei. Anche loro nutrono grande stima per i musicisti.”

Abbiamo chiesto a Luca quali sono le difficoltà che ha incontrato quando ha iniziato questo tipo di lavoro “Immense difficoltà burocratiche ed economiche. Gli investimenti non finiscono mai. Il contrabbasso costa tanto di per sé e la manutenzione è ancora più impegnativa, senza citare il fatto che sia uno strumento fragilissimo e la vita del musicista on the road lo mette a dura prova: carica, scarica, caldo, freddo, secco, umido.

E poi ci sono le giornate passate nel furgone! Passiamo una media di cinque-sei ore al giorno in macchina per uno show di due ore. Tutti i giorni sballottato da una città all’altra, che spesso non hai nemmeno il tempo di visitare. Mi piace viaggiare, ma ogni tanto penso che passiamo davvero troppo tempo in macchina. Inutile aggiungere che anche le relazioni sono ampiamente penalizzate, ma questo è un altro immenso capitolo.”

E’ davvero difficile inquadrare la posizione dei musicisti underground che campano di musica live come Luca. Il più delle volte è impossibile dichiarare quello che guadagnano, con tutti i problemi legati. Non possono ottenere carte di credito, sussidi, sostegno di alcun tipo, niente pensione, niente disoccupazione. È veramente una forma di impresa difficile da gestire. Alcuni ci riescono, ma è molto raro.

Dopo una serie di eventi sfortunati Luca rimane disoccupato e senza una sistemazione, ma grazie ad una proposta di un amico acquista il suo primo contrabbasso e lo inizia a suonare con la sua rockabilly band, i Tartamella and the Melody Makers.

“Inizialmente è stata una scelta di convenienza.” ci dice il talentuoso Luca “È diventato solo più avanti amore folle. Una band di amici cercava un contrabbassista. All’epoca sapevo suonare solo il basso elettrico, ma loro già facevano un paio di serate a settimana. Un’occasione abbastanza ghiotta per imparare a suonare lo strumento dei miei sogni e guadagnare qualche soldo.”

Luca scopre che in Sicilia è possibile lavorare di musica – anche se ad un livello underground – più che in altre parti di Italia e rimane folgorato da questo genere musicale, tanto da approfondirne la conoscenza nel corso del tempo.

Nel 2014 viene chiamato  da Don Diego Geraci (leader della storica neo-rockabilly band siciliana  Adels ) a far parte del suo nuovo progetto solista, il Don Diego Trio.  La band è un mix esplosivo di musica country americana, rock’n’roll anni 50 e swing. Parallelamente all’attività live del Trio, ha sempre coltivato la passione per altri generi affini suonando con altre formazioni, specializzandomi in quella che viene definita   Roots music  americana: Jazz tradizionale, Blues, Folk e Country. Questa preparazione  specifica e settoriale gli permette di essere uno dei contrabbassisti  Roots  più richiesti in Europa, venendo chiamato a lavorare con artisti americani di caratura internazionale. Tra questi Slim Jim Phantom (batterista degli Stray Cats), Bill Kirchen, Dale Watson, Chris Casello, Deke Dickerson, James Intveld, per citarne alcuni.

“La roots music è un insieme di generi che hanno fondato la musica americana. Se ascolti Springsteen ci trovi le string band di inizio secolo (v. Cats and the Fiddle), i blues man del Mississippi (v. Robert Johnson), il country di Hank Williams, il ragtime di Jerry Roll Morton. Ecco, l’insieme di questi generi di inizio novecento sono quelli che in gergo vengono definiti “roots music”. Adoro questa musica perché è viscerale, ballabile, racconta di storie tanto semplici quanto eterne…e nasce per intrattenere le persone, farle divertire, farle svagare o magari catturarle con una bella storia” ci dice Luca.

Luca si ispiro principalmente ai musicisti degli anni ’50 e ’60 che facevano il lavoro dietro le scene nei grandi studi di registrazione americani. Bassisti come Bob Moore alla RCA, Bill Black alla Sun, Donal Duck Dunn alla Stax, James Jamerson alla Motown. Tutti musicisti sconosciuti ai più, che sapevano suonare magari solo un genere, ma con una proprietà di linguaggio immensa. “A me piace questo in un musicista: non che sia poliedrico, ma che abbia padronanza del genere e sia perfettamente consapevole di quello che fa. È come parlare una lingua rispettandone la grammatica e le sfumature del lessico. Mi piace chi rispetta il bagaglio culturale che ci portiamo appresso.”

Chiediamo a Luca cosa consiglierebbe a chi volesse intraprendere la sua stessa carriera. “Consiglierei di ascoltare e comprare tanta musica. Di avere rispetto dello strumento e del supporto audio. Ascoltare musica da buoni impianti stereo, suonare strumenti tenuti bene. La differenza è evidente. La musica è tutta questione di vibrazioni che creano emozione. Bisogna avere rispetto per quelle fonti che generano vibrazioni. Ah, e un’altra cosa fondamentale: imparare a relazionarsi con le persone. Ascoltare, parlare più lingue, non farsi prendere dal cellulare mentre aspetti di salire sul palco o dalla timidezza. La musica è comunicazione”.