La privatizzazione “strisciante” di Italkali a prezzi da saldo

E’ ormai convinzione condivisa che la stagione della Regione imprenditrice sia abbondantemente finita e tutto il quadro normativo, nazionale e comunitario, proibisce la gestione pubblica di imprese che agiscono sul libero mercato.
Eppure anche di fronte a questa inusuale chiarezza delle leggi di settore, in Sicilia si continuano a fare pasticci inspiegabili.
Parliamo di Italkali, una società che formalmente vede la Regione azionista di maggioranza al 51% e i privati, guidati dalla famiglia Morgante, con il restante 49% e il controllo sulla gestione.
Una gestione che produce ricavi per circa 90 milioni annui e adesso è anche in utile, contrariamente alla stragrande maggioranza delle iniziative imprenditoriali in cui la Regione ha funzionato da mucca da mungere.
Non solo ma è pronto un maxi investimento da 250 milioni di euro per produrre kainite, un minerale che si usa per i fertilizzanti potassici, particolarmente richiesti dal mercato.
Ebbene, a fronte di un obbligo chiarissimo di cessione della quota pubblica, già in vigore dal 2008, il processo è andato avanti a spizzichi e bocconi, fra ricorsi e gare annullate.
Fino a quando il socio privato non ha deciso di dichiarare decaduta a termini di legge la partecipazione pubblica, al valore nominale di 3 milioni di euro, mentre la Corte dei Conti avrebbe valutato la quota 20 milioni di euro, almeno secondo l’esposto presentato dall’ex assessore al bilancio Armao.
Nodo del contendere la scelta dell’advisor, cioè dell’istituto finanziario che doveva stabilire il valore della società per venderla a prezzo di mercato.
Secondo Armao l’advisor era già stato scelto nel 2012 con una gara vinta dalla milanese Meliorbanca: secondo le fonti dell’Assessorato al Bilancio, l’offerta dell’istituto di credito lombardo sarebbe giunta in una busta non integra e quindi la gara era da rifare, visto che c’era stata soltanto un’altra offerta e quindi non veniva garantita la concorrenza.
Le stesse fonti non spiegano come mai, a distanza di due anni, la gara non sia stata rifatta e il processo di privatizzazione si sia inopinatamente bloccato.
Secondo indiscrezioni raccolte dal Corriere della Sera, che ha sollevato la vicenda, il ritardo sarebbe dovuto alla volontà di non esporre Italkali all’assalto dei concorrenti che potrebbero avere interesse a dismettere la produzione in Sicilia, per eliminare un concorrente pericoloso.
Ma, se anche così fosse, l’inerzia avrebbe rafforzato questo rischio, in quanto della compagine azionaria fanno già parte i gruppi francesi e austriaci leader del mercato europeo dei sali, che potranno convincere o costringere i Morgante a fare un passo indietro, decidendo da soli la sorte della società.
Come che sia, un risultato è certo: la Regione, che avrebbe dovuto incassare una cifra vicina ai 20 milioni, ne prenderà bene che vada il 20%, riuscendo a perderci anche in una società che fa utili, secondo il consolidato copione di Crocetta & C. che, quando intervengono, fanno danni e quando restano inerti, pure.