Cronaca

Suicidio in carcere a Messina, Di Giacomo: “Tragedia annunciata”

È il 51esimo suicidio nelle carceri italiane dall’inizio dell’anno. Il segretario del S.PP. attacca: “Task force inutili, servono psicologi e medici”

Si è tolto la vita ieri pomeriggio nel carcere di Messina Stefano Argentino, il giovane detenuto accusato dell’omicidio di Sara Campanella. Il suo gesto, avvenuto a poche settimane dall’arresto, riaccende i riflettori su una delle piaghe più drammatiche del sistema penitenziario italiano: il suicidio in cella. E c’è chi, come Aldo Di Giacomo, segretario del Sindacato Polizia Penitenziaria (S.PP.), lo definisce senza mezzi termini una «tragedia annunciata».

“Aveva già manifestato intenti suicidari”

Secondo quanto riferito da Di Giacomo, Argentino aveva già espresso intenzioni suicidarie subito dopo l’arresto, motivo per cui avrebbe dovuto essere sottoposto a un controllo costante. La sua vicenda, denuncia il sindacalista, non è isolata. Anzi, è proprio nelle prime settimane di detenzione, specie per giovani e per chi è alla prima esperienza carceraria dopo reati gravi, che il rischio di suicidio è più alto.

Numeri allarmanti: un suicidio ogni 4 giorni
Con la morte di Stefano Argentino, i suicidi in carcere nel 2025 salgono a 51, vale a dire uno ogni quattro giorni. A questi si aggiungono 99 morti per “altre cause”, di cui almeno una trentina avvenute in circostanze simili a gesti autolesionistici. Una strage silenziosa, su cui – denuncia ancora Di Giacomo – Ministero della Giustizia e Governo tacciono.

“La task force di Nordio è un flop”

Al centro delle critiche anche l’iniziativa del ministro Carlo Nordio, che aveva annunciato la creazione di una task force sui suicidi in carcere. «Un flop», commenta Di Giacomo, che parla di “passerelle” mediatiche e iniziative inefficaci già viste nei decenni passati: «C’è poco da studiare: servono interventi immediati, come sportelli di assistenza psicologica e l’aumento del personale sanitario e sociale».

Le categorie più a rischio

Secondo il sindacato, le categorie più fragili all’interno degli istituti penitenziari sono: giovani sotto i 40 anni; detenuti alla prima carcerazione; stranieri ed extracomunitari; tossicodipendenti; persone con patologie psichiche.

Tutti soggetti ad alto rischio, in un contesto dove le risorse sono insufficienti e il personale sanitario continua a lasciare il servizio, spesso vittima di aggressioni e minacce da parte dei detenuti stessi.

Il nodo del sovraffollamento

A peggiorare il quadro è il sovraffollamento cronico: in alcune strutture si supera addirittura il 130% della capienza regolamentare. Il piano del ministro Nordio di creare celle-container, secondo Di Giacomo, non risolverà nulla: «È solo uno spreco di denaro. Oltre 80 milioni di euro per appena 380 nuovi posti, equivalenti ai nuovi ingressi mensili. I problemi resteranno».

Un costo alto, un’assistenza minima

Ogni detenuto costa allo Stato circa 150 euro al giorno, sottolinea il segretario del S.PP., «ma questa cifra non si traduce in servizi sanitari e psicologici adeguati». Il carcere, conclude, non può essere un luogo di morte, e lo Stato non può rinunciare alla funzione rieducativa della pena.

Redazione

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