“Puoi dormire in ufficio in orario lavorativo”: la norma nuova di zecca parla chiarissimo | Basta che ti addormenti così e fai tutte le pennichelle che vuoi

Una sentenza molto particolare, che potrebbe rivoluzionare il mondo del lavoro.
Una sentenza della Corte di Cassazione riaccende il dibattito su cosa costituisca una “giusta causa” di licenziamento. Una guardia giurata, licenziata dopo essere stata sorpresa a dormire durante il servizio, è stata reintegrata dai giudici. Secondo la sentenza, il comportamento non rappresenta una violazione tale da giustificare l’interruzione del rapporto di lavoro, nemmeno per una professione in cui il requisito principale è garantire la vigilanza e la sicurezza.
Il caso ha coinvolto un dipendente della Ronda Servizi di Vigilanza Spa, il cui contratto era stato risolto per giusta causa. La guardia era stata trovata addormentata durante il turno di lavoro, un comportamento che, secondo l’azienda, era incompatibile con le sue mansioni. Il licenziamento, giustificato con la necessità di garantire il rispetto degli standard di sicurezza, è stato però messo in discussione a livello legale.
La Corte di Cassazione ha stabilito che il contratto collettivo nazionale non include esplicitamente il “dormire sul posto di lavoro” tra i motivi che costituiscono una giusta causa di licenziamento. Pertanto, il provvedimento adottato dall’azienda è stato ritenuto illegittimo. Secondo i giudici, per giustificare un licenziamento, il comportamento contestato deve essere previsto dalle normative contrattuali o risultare di gravità tale da compromettere irreparabilmente il rapporto fiduciario.
Questa decisione evidenzia come, anche in situazioni apparentemente gravi, sia necessario valutare il contesto e la proporzionalità della sanzione. Pur riconoscendo che dormire in servizio sia un comportamento inappropriato, la Cassazione ha considerato che non si trattasse di una violazione grave al punto da giustificare il licenziamento immediato.
Le implicazioni per i contratti collettivi
La sentenza solleva interrogativi sull’adeguatezza dei contratti collettivi nel prevedere tutte le possibili condotte illecite. Il caso mette in evidenza la necessità di aggiornare tali normative per affrontare scenari non esplicitamente disciplinati e garantire maggiore chiarezza sia ai lavoratori che alle aziende.
Con il verdetto, la guardia giurata è stata reintegrata nel suo ruolo. Questo obbliga l’azienda non solo a riammettere il dipendente, ma anche a risarcirlo per il periodo di inattività forzata. Tuttavia, il reintegro potrebbe creare tensioni all’interno del contesto lavorativo.

Tra tutela del lavoratore e necessità di rigore
La sentenza ha diviso l’opinione pubblica. Da un lato, c’è chi la considera una vittoria per i diritti dei lavoratori contro decisioni aziendali arbitrarie. Dall’altro, molti ritengono che comportamenti come quello contestato debbano essere puniti con fermezza, soprattutto in ambiti dove la sicurezza è centrale.
Il caso sottolinea l’importanza di bilanciare i diritti dei lavoratori con le esigenze delle aziende. Se da un lato la sentenza ribadisce il principio che il licenziamento debba basarsi su regole chiare, dall’altro evidenzia una zona grigia che merita riflessioni e, forse, una revisione delle normative contrattuali.