Colpo alla mafia catanese: 20 arresti, sequestri milionari e la regia del boss dal carcere

 

Duro colpo alla criminalità organizzata etnea. Su delega della Procura Distrettuale della Repubblica, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania, con il supporto di unità AT-PI e militari dei reparti di Acireale, Riposto, Paternò, Vigevano e Vibo Valentia, hanno eseguito un’ordinanza che coinvolge 20 soggetti, 12 dei quali arrestati, per gravi reati di stampo mafioso.

Le indagini, coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia e condotte dal GICO di Catania, hanno fatto emergere un radicato sodalizio riconducibile al clan “Laudani” – noti anche come “Mussi i ficurinia” – attivo nell’hinterland catanese e in particolare ad Acireale, Aci Sant’Antonio, Aci Catena.

Sequestri e provvedimenti cautelari

È stato eseguito il sequestro preventivo di due aziende in Aci Sant’Antonio, dal valore di oltre 1 milione di euro. Le misure sono state notificate in diverse province italiane: Catania, Messina, Monza, Pavia, Prato e Reggio Calabria.

Gli indagati, accusati a vario titolo, sono coinvolti in associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga, detenzione di armi, trasferimento fraudolento di valori. Alcuni sono stati associati in carcere, altri sottoposti a obbligo di dimora o divieto di avvicinamento.

Il boss che comandava dal carcere

Fulcro dell’indagine è Orazio Scuto, classe 1959, detto “u nutturnu”, già detenuto ma ritenuto ancora operativo. Attraverso utenze telefoniche intestate a terzi e introdotte illecitamente in carcere (le cosiddette “utenze citofono”), Scuto impartiva ordini al clan, mantenendo contatti con affiliati e familiari, gestendo affari e violenze anche dall’interno del penitenziario.

Tra i fedelissimi spiccano:

Puglisi Angelo, detto “pitbull grandi”, reggente del mercato agricolo e della logistica;

Di Pino Antonino, “u picciriddu”, incaricato del mantenimento dei sodali detenuti;

Faro Salvatore, “Turi mantellina”;

Scuto Giuseppe, “Zio Pino”, con un ruolo apicale operativo;

Scuto Orazio jr., detto “Mafalda”;

Bonaccorso Alessandro Settimo, detto “u ponchiu”.

Le accuse: estorsioni, minacce, usura e coartazione imprenditoriale

Le attività criminali si concentravano nel settore ortofrutticolo, con imposizione di contratti di “procacciamento d’affari” e versamenti periodici da parte degli imprenditori, spesso sotto minaccia di ritorsioni. Diverse aziende avrebbero subito pressioni per affidarsi esclusivamente alle ditte del clan e si sarebbero viste negare l’accesso al mercato se non allineate alle regole imposte da Scuto.

Tra le prove raccolte: intercettazioni ambientali, pedinamenti, sequestri, oltre a capillari attività tecniche. Alcuni imprenditori, per evitare crediti non pagati o proteggere le attività da furti, avrebbero accettato la “protezione” del clan, rafforzandone il controllo sul territorio.

Coinvolgimento nella gestione delle scommesse e traffico di droga

La rete mafiosa avrebbe anche preso il controllo di un punto scommesse ad Acireale, agendo come cassa operativa per il gruppo. Inoltre, gli investigatori hanno documentato un attivo canale per l’approvvigionamento di stupefacenti dalla Calabria, gestito da Scuto Giuseppe e Faro Salvatore.

Le attività del gruppo si sono evolute in una vera holding mafiosa, con imprese intestate a terzi, imposte agli operatori locali, e una struttura gerarchica capace di garantire la continuità operativa anche durante la detenzione del capo.