Omicidio di Giulia, lo psichiatra: “Assassini si diventa così come si diventa malati”

Di fronte all’ennesimo tragico fatto di cronaca che ha visto la morte di una ragazza per mano del suo ex fidanzato, ormai un copione che si ripete con regolarità sconvolgente con 105 donne uccise dall’inizio dell’anno e di fronte a cui è difficile comprendere, è necessario rivolgersi a chi si occupa di curare la mente umana, di ciò che si muove e spesso si nasconde dentro persone normalissime che poi “improvvisamente” vanno fuori di testa.

1) Dottor Giovanni Del Missier psichiatra e psicoterapeuta, presidente della Cooperativa Sociale di Psicoterapia Medica di Roma; come vede quest’ultima tragedia
La vedo come l’ennesima conferma, per nulla inaspettata ahimè, della assoluta, drammatica e obbligatoria necessità di fare ricerca sul rapporto uomo donna. Come nasce? Su cosa si basa? A cosa mira? Come si realizza oppure si degrada? Ovvero ricerca sulla realtà psichica; perché parlare di rapporto uomo donna significa per prima cosa differenziarlo dal rapporto di natura biologica maschio femmina, quest’ultimo caratteristico del mondo animale e perciò mosso solo da istanze biologiche. Senza un approccio che tenga prioritariamente conto della realtà psichica non si capirà mai nulla della sessualità umana.

2) Nonostante tanta gente inizi a parlare di malattia mentale e sia consapevole dell’importanza di una attività di sostegno psicologico sempre maggiore, ad esempio nelle scuole, si sentono sempre i così detti “esperti” che parlano di educazione, accettazione di identità di genere, aspetti più di carattere sociale, oppure di raptus improvviso e di una cattiveria naturale insita nell’essere umano che potrebbe prima o poi uscire da ognuno di noi; dottor Del Missier, ma si nasce assassini?
Assassini si diventa così come si diventa malati.
Finalmente per un femminicidio si parla di malattia mentale, mi sembra che chi parla di criminalità sia la minoranza, e ciò implica chiedersi cosa è questa malattia della psiche, possibilità specifica dell’essere umano e quindi assente nel mondo animale, proprio come il femminicidio.
Varie sono le scuole di pensiero; l’opzione organicista che vede la malattia mentale come fatto biologico porta coerentemente a cercarne la causa nella natura biologica dei maschi. Conseguentemente la soluzione sarebbe la castrazione! in questa opzione genetica della violenza interumana curiosamente convergono, provenendo da posizioni diametralmente (e apparentemente) opposte, sia l’organicismo su citato sia la ideologia religiosa del peccato originale connaturato al genere umano e indice di un Male trascendente.

3) Come mai la percentuale di omicidi compiuti da donne nei confronti dei loro partner o ex partner è imparagonabile rispetto a ciò che fanno gli uomini…
Che problema hanno questi maschi della specie umana nei confronti delle donne che finiscono uccise nella maggior parte dei casi quando decidono di interrompere una relazione; ci si ammala diversamente tra uomini e donne?
Ci si ammala ugualmente, nella misura in cui siamo ugualmente tutti esseri umani, ma ci si esprime diversamente nella misura in cui siamo diversamente uomini o donne.
La violenza fisica è sintomo tipicamente maschile di quella disumanità (malattia) in cui può cadere un uomo. Permettimi di fare un nesso con quella espressione collettiva di tale tragica disumanità che chiamiamo “guerra”. La guerra è una sorta di “malattia mentale collettiva” tipicamente maschile ed espressione di prepotenza, ma solo apparentemente perché in realtà lo è di una profonda impotenza nella gestione di rapporti politici. Così come il violentatore è in realtà un impotente nel confronto con la donna.

4) Ora le pongo una domanda difficile da sbrogliare: che tipo di complicità si attua da parte di tante donne per cui sembra che purtroppo, tanto frequentemente non si rendano conto della gravità di certe situazioni se non quando si arriva a situazioni estreme; è una cecità? E da quali segnali potrebbero intuire che qualcosa non sta andando bene?
Argomento spinoso e pericoloso, ma un serio ricercatore non può arretrare di fronte alla ricerca della verità e deve avere il coraggio di porsi, senza paraocchi, domande anche scomode e dolorose.
Naturalmente non parlo di complicità quando vi è una palese e immediata contrapposizione tra vittima e aggressore, dove la vittima non cerca alcun rapporto con l’aggressore. Ma che dire nel caso di una storia d’amore condivisa? O nel caso di una separazione difficile da attuare?
La ricerca deve gettar luce sulla realtà psichica degli amanti e quindi su cosa l’uno rappresenti profondamente per l’altro, reciprocamente. Quanto gli amanti “si vedono” realmente e percepiscono la realtà altrui? oppure quanto ognuno in fondo “ama” una propria “idea amorosa” che l’altro va a rappresentare? Sarebbe forse questa quella “cecità” che tu hai citato.
Alla tua domanda se vi può invece essere una penso che potrebbe meglio di me, rispondere Elena, la sorella di Giulia, che invano l’allertò di non andare da lui, perché aveva percepito il pericolo. Ma lo stesso quesito si potrebbe porre anche all’amica di Giulia Tramontano che, incinta di sette mesi, fu uccisa a fine maggio di quest’anno da Alessandro, padre della creatura che portava in grembo da sette mesi. Tale amica, ex amante di Alessandro, non solo aveva precedentemente preferito separarsi da lui e abortire un suo figlio, ma la sera stessa dell’omicidio, dopo aver resistito ai tentativi di lui di entrare a casa sua, implorò in-vano Giulia di dormire da lei. Invece Giulia preferì andare da lui…
Cosa fece insospettire la sorella dell’una e l’amica dell’altra? Ma allora si può percepire il pericolo e prevenire il peggio!

5) Da millenni le donne vengono uccise, sembra sia una cosa “culturalmente normale”. Cosa significa proprio come immagine uccidere una donna?
Ecco che qui andiamo a riprendere i termini “rappresentare” “immaginare” indispensabili per tentare di capire l’invisibile realtà psichica e con cui indichiamo questa capacità umana di dare un senso, a volte personale a volte collettivo, ai propri simili.
Che senso aveva Giulia per Filippo? Non lo sappiamo. Sappiamo però che quando fu lasciato la prima volta egli pensava di non poter sopravvivere al fatto. Ecco un possibile “senso” che un uomo potrebbe dare ad una donna. In tal caso sopprimere colei che ci tiene in vita significa anche sopprimere se stessi, umanamente e/o biologicamente.
La tipica espressione di civiltà che impone di mettere in salvo “prima le donne e i bambini” ci dice in quali abissi di disumanità sprofondano coloro che uccidono donne e bambini. Il riferimento alle guerre in corso è fortemente voluto.

6) L’illustratore Fabio Magnasciutti ha rappresentato questa storia con un cuore rosso formato da un grande gomitolo di filo intrecciato al punto da non potersi sciogliere, con l’ago a cui il filo è attaccato che si rivolge contro lo stesso cuore dove la cruna si spezza dal filo… questa immagine ci può aiutare a leggere dove sia il bandolo di una matassa, oppure bisogna riuscire a mettere a fuoco qualcosa che ancora non vediamo bene?
La mia ipotesi di lettura è che Magnasciutti ci racconti sapientemente come lo strumento che permette di cucire insieme ad un’altra persona una bella storia d’amore diventa strumento di morte allorquando si perda il filo rosso del rapporto vitale con l’altro.

7) Quindi che tipo di salto culturale dobbiamo fare perché queste tragedie smettano di esistere e quindi fare prevenzione?
A proposito di cultura mi ha molto colpito quanto gridato e denunciato dalla sorella di Giulia “C’è bisogno di capire che i mostri non nascono dall’oggi al domani. C’è una cultura che li protegge e alimenta”. Chiarissima!
Il salto culturale che proponi esige che si abbandoni questa cultura “patogena” che non vuole vedere la realtà latente, che si accontenta della “normalità” e ignora o finge di ignorare che la profonda differenza tra sanità e malattia è al di sotto della normalità.
Ci vuole una cultura nuova che sappia andare al di là della oggettività dei fenomeni manifesti, oltre la coscienza e il comportamento che fanno dire e prendere in considerazione anche la soggettività latente, la realtà interna, il senso profondo che noi diamo agli altri nell’ambito dei rapporti e soprattutto in quello che chiamiamo “amore”.

Intervista di Filippo Trojano