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Il derby del capoluogo: Amatori Palermo vs Iron Team

di Filippo La Torre

Palermo, 17 dic. – Cosa strana stamattina. La campana di Sant’Orsola è sincronizzata con il mio computer. Stavo guardando l’ora, lì, in basso a destra: ore 11.59 16/12/2012, ore 12.00 don … don … don … Tra due ore e mezza ci sarà il fischio d’inizio e trenta ragazzi, tutti di Palermo ma di due squadre differenti, daranno vita a una rappresentazione dell’animo umano dove una buona parte dei sentimenti che vi albergano e lo agitano non si accontenteranno soltanto della finzione scenica perché tutti gli attori, anche se inconsapevolmente, saranno guerrieri, saranno tribù.

E’ il giorno del derby.

Da diversi decenni non si assisteva a Palermo a un confronto tra due squadre cittadine, avremmo voluto che in quest’occasione si sancisse anche il raggiungimento di un obiettivo di maggiore livello tecnico ma è l’anno dei Maya, dove tutto ciò che è stato fino a oggi, è stato accansato. Non c’è più una serie B e i superstiti del Palermo Rugby Club 2005 hanno trovato casa chi all’Iron Team, chi in una neonata società di serie C voluta fortemente con pervicacia da alcuni che casa non avevano trovato: l’Amatori Palermo.

Il tempo ci è propizio, Dio o chi per lui, ha mandato sopra il manto del Velodromo solo nuvolarelle, di quelle che se si spremono non esce nemmeno tanta acqua quanto il sudore che a breve bagnerà come salsa rugiada l’erba superstite del campo di battaglia.

Ho portato con me delle bottiglie di vino, ma questa volta rimarranno in macchina a riposare coricate sopra il divano posteriore. Lo spogliatoio è saturo di supponenza anche se qualcuno fa fatica a mascherarla. Il tecnico Gioacchino La Torre, che di cicatrici vere o virtuali ha la pelle piena, frena gli entusiasmi e intona un sermone simile al “Discorso della Montagna” di Gesù: Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli…

Qualcuno è distratto, qualche altro latita di comprendonio, ma quasi tutti sembrano recepire il messaggio di umiltà che Gioacchino La Torre predica con un tono da Apocalisse, ma l’animo degli uomini è insondabile.

E’ solo una partita di rugby, mi dico io, tra l’altro con due compagini che in altri tempi, non molto lontani, hanno militato nella stessa Società.

Della partita potrei scrivere tanto o nulla, ancora la decisione la devo prendere, il prologo è già abbondante e l’epilogo lo debbo sviluppare. Che cosa metto su questo foglio bianco, discuto di tecnica o di tattica, argomenti asettici che non interessano ai più, o mi fingo acuto osservatore della psiche umana e do un valore ai mille passi tracciati in silenzio mentre osservavo la partita?

Niente di tutto questo ma una conclusione ci deve essere ed eccola di seguito: l’Iron Team aveva più fame di vittoria dell’Amatori Palermo.

Ho assistito a una partita dove non si è visto nessun cartellino, di nessun colore, e questo va ad onore delle due squadre che si sono affrontate a viso aperto nel pieno rispetto di un codice cavalleresco che va al di là dell’arido regolamento.

Il punteggio finale non lo dico perché sono sicuro che hanno vinto tutti, perché tutto hanno dato.

Il terzo tempo non aveva mai fine ed è stato uno schiaffo alla povertà!

Il quarto tempo, celebrato insieme dalle due squadre in un noto bar di Palermo, ha costretto il titolare ad appendere fuori dal locale un cartello con scritto “Game Over”.

P. S. La foto è di Maria Cangemi, vestale e sacerdotessa nello stesso tempo.

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