Confiscati 736.000 euro alla figlia di un ex amministratore giudiziario
L’Ufficio Misure di Prevenzione Patrimoniali della Divisione Anticrimine della Questura di Palermo ha dato esecuzione a un provvedimento del Tribunale di Palermo – Sezione Misure di Prevenzione, con cui è stata disposta la confisca definitiva di 736.000 euro nei confronti della figlia di R.R., classe 1952, deceduto nel 2018.
L’importo rappresenta il ricavato della vendita del ramo d’azienda di una società agricola riconducibile all’ex amministratore giudiziario, frutto – secondo gli inquirenti – del reimpiego di capitali illeciti sottratti all’amministrazione di beni confiscati alla criminalità organizzata.
L’origine dell’indagine: conti sospetti e rendiconto mai depositato
Le indagini sono scaturite da una richiesta del Tribunale palermitano che chiedeva approfondimenti su alcune movimentazioni finanziarie relative ai conti correnti confiscati nel corso di un procedimento di prevenzione a carico di G.R. (classe 1942) e I.S. (classe 1944), soggetti ritenuti contigui alla criminalità organizzata.
R.R., in qualità di amministratore giudiziario nominato all’epoca, aveva gestito questi conti, ma è deceduto senza aver mai presentato il rendiconto finale delle attività svolte. Gli accertamenti hanno quindi permesso di rilevare una serie di prelievi non autorizzati – protratti per circa quattro anni – per un ammontare di oltre un miliardo di lire, equivalenti a più di 700.000 euro.
I soldi pubblici reinvestiti in cantina e oleificio privati
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, R.R. utilizzò i fondi sottratti ai conti confiscati per effettuare investimenti personali nel settore agricolo, in particolare nella realizzazione di una cantina vinicola e un oleificio nel comune di Cattolica Eraclea, su terreni intestati a lui e alla sua famiglia.
Diversi soggetti beneficiari di pagamenti effettuati da R.R. sono stati identificati e ascoltati. Hanno confermato che le somme ricevute erano relative a beni e servizi resi all’azienda agricola riconducibile allo stesso R.R., comprovando così il reimpiego diretto dei capitali sottratti alla gestione giudiziaria.
Trasferimento delle quote alla figlia e vendita del ramo d’azienda
Gli accertamenti patrimoniali hanno documentato che, prima della sua morte, R.R. trasferì alla figlia la titolarità della maggioranza delle quote della società agricola, divenuta nel tempo proprietaria dell’intero compendio aziendale (inclusi cantina e oleificio).
Dopo il decesso del padre, la figlia – in qualità di socio di maggioranza e rappresentante legale – ha venduto il ramo d’azienda il 17 maggio 2023. Il ricavato dell’operazione, pari a 736.000 euro, è stato accreditato su un conto intestato alla società e operativo proprio alla figlia di R.R.
Nel giugno 2023, su disposizione dell’autorità giudiziaria, è scattato il sequestro preventivo della somma.
La decisione del Tribunale: reimpiego illecito, scatta la confisca
La Sezione Misure di Prevenzione del Tribunale di Palermo ha ritenuto dimostrata la correlazione tra gli investimenti effettuati da R.R. e la sua pericolosità sociale. In base alla normativa del Codice Antimafia, è stato quindi disposto che anche dopo la morte del soggetto, la misura patrimoniale può essere applicata nei confronti degli eredi, se proposta entro cinque anni.
La somma confiscata coincide con l’incremento di valore dell’azienda agricola derivante dal reimpiego illecito dei capitali pubblici sottratti tramite ripetuti episodi di peculato, commessi almeno dal 2005 in poi.
Un caso che accende i riflettori sulle falle nel sistema di gestione dei beni confiscati
Il caso di R.R., un amministratore giudiziario che avrebbe abusato del proprio incarico per arricchirsi, solleva interrogativi importanti sulla trasparenza e i controlli nella gestione dei beni sequestrati alla mafia. La vicenda, risolta solo dopo anni dalla morte dell’uomo, dimostra come la vigilanza sulle figure incaricate di ruoli sensibili resti ancora un punto critico nel sistema italiano di contrasto alla criminalità organizzata.