Stragi Falcone e Borsellino, procuratore De Luca: “La pista nera vale zero tagliato”

“L’ipotesi della pista nera sulle stragi del 1992, collegata al terrorista neofascista Stefano Delle Chiaie, vale zero tagliato”. Lo ha dichiarato il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, durante la sua audizione alla Commissione parlamentare Antimafia a Palazzo San Macuto.
Secondo il magistrato, sebbene siano in corso ulteriori approfondimenti, gli atti ricevuti dalla Procura di Palermo avrebbero mostrato l’inconsistenza investigativa di quella pista, originariamente prospettata dall’allora procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato, oggi senatore del M5S.

“Indagare su Buscemi solo dal ’93? Vorrebbe dire che prima non si è fatto nulla”

Nel corso dell’audizione, De Luca ha affrontato anche il tema delle indagini sui vertici mafiosi dell’epoca, sostenendo che affermare che si indagò sul boss Antonino Buscemi solo dal 1993 equivarrebbe a negare l’attività investigativa precedente.

Ha inoltre rilanciato l’importanza del filone mafia–appalti, consegnato dal Ros alla Procura di Palermo il 16 febbraio 1991, affermando di non comprendere lo scetticismo mostrato negli anni su quella pista, che egli considera “una concausa” delle stragi di Capaci e via D’Amelio, insieme a due precondizioni: l’isolamento istituzionale di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, e la pressione esercitata dagli interessi sugli appalti pubblici.

Le dichiarazioni su Giammanco, Natoli e Pignatone

Il procuratore De Luca ha poi citato dichiarazioni rese in atti da vari magistrati dell’epoca, sostenendo che l’ex procuratore di Palermo Pietro Giammanco non avrebbe avuto condotte corruttive, ma avrebbe assunto comportamenti “inopportuni” secondo la ricostruzione da lui avanzata.

De Luca ha inoltre ricordato che l’ex magistrato Gioacchino Natoli, oggi indagato per favoreggiamento aggravato (così come l’ex procuratore Giuseppe Pignatone) dalla Procura di Caltanissetta, avrebbe — secondo l’accusa — fornito informazioni ritenute non veritiere al Csm pochi giorni dopo la strage Borsellino, in merito ai rapporti interni all’ufficio giudiziario di Palermo.

Riguardo a Giammanco, De Luca ha riferito che il magistrato “ostentava l’amicizia” con esponenti politici dell’epoca e che avrebbe voluto partecipare al funerale di Salvo Lima, venendo però dissuaso dai suoi sostituti. Ha inoltre ricordato legami familiari indiretti del procuratore con un imprenditore poi condannato per vicinanza a Bernardo Provenzano, precisando che tali elementi erano già noti alle forze dell’ordine negli anni Ottanta.

Per quanto riguarda invece Giuseppe Pignatone, De Luca ha affermato che non sarebbe stato opportuno che si occupasse di un’indagine riguardante, tra gli altri, l’imprenditore Vincenzo Piazza, che aveva occupato vari appartamenti nello stesso stabile dove Pignatone aveva abitato in passato. Ha inoltre citato alcune compravendite immobiliari riconducibili ai familiari del magistrato, sottolineando che tali circostanze — secondo la sua valutazione — avrebbero potuto costituire situazioni di inopportunità, senza però configurare prove di condotte corruttive.

Il ruolo della Sirap e dell’Espi

De Luca ha infine ricordato che il rapporto del Ros sul filone mafia–appalti conteneva un’ampia sezione dedicata alla Sirap, società regionale partecipata dall’Espi, che fu presieduta da Francesco Pignatone, padre del magistrato. La seduta della Commissione Antimafia è stata sospesa e proseguirà in una data successiva. Le dichiarazioni di De Luca, destinate a far discutere, riaprono un fronte di riflessione sul clima istituzionale e investigativo che precedette e seguì le stragi mafiose del 1992, mentre le indagini in corso continuano a cercare di ricostruire ogni possibile responsabilità.

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